La psicoterapia secondo Riza

Nella psicologia moderna si è formata l’idea che il benessere dipenda dalla capacità di analizzare la nostra infanzia, la nostra storia, il nostro passato. Così l’attenzione viene portata esclusivamente sul lato esterno di noi stessi.
C’è invece qualcosa dentro di noi di più importante da cui dipende la nostra unicità: il lato interno, l’inconscio.
Mentre riflettiamo su genitori che non ci hanno amato, sulle scelte sbagliate, su relazioni che non hanno funzionato, perdiamo di vista la continua “fioritura” che abita dentro di noi, nel profondo, dalla quale dipende il nostro destino.
Secondo quanto afferma James Hillman, il grande analista erede di Jung, in ognuno noi esiste un nucleo germinativo che sa portarci fuori dagli incidenti di percorso che ci sono capitati. Anche i più gravi.
Si tratta di una capacità innata di autoguarigione che va solo riattivata. In primo luogo agendo sull’immaginario, attraverso un linguaggio che si rifaccia al mytos (parola come narrazione) e non al logos (parola come spiegazione): non con i pensieri, non con i ricordi, non con i ragionamenti.
Le immagini invece sono utilissime in terapia, compaiono a occhi chiusi e allontanano le elucubrazioni mentali della parte razionale, perennemente imprigionata da modelli, progetti, delusioni, speranze: le immagini sono la nostra cura.
La psicoterapia secondo Riza non deve quindi cercare né cause né perché, né esplorare le ragioni dei disagi che vengono a visitarci.
Una vera psicoterapia è disinteressata alla storia, alle cause, alle ragioni, ai progetti dell’lo. La sua funzione più autentica è quella di ridimensionare l’identità scontata del paziente, per fare emergere gli aspetti originali del suo modo di essere.

Lo psicoterapeuta secondo Riza

Il lavoro dello psicoterapeuta consiste principalmente nell’aspettare. Bisogna essere come un contadino: vedere nel seme il fiore che verrà, nel germe di grano la spiga.
Non serve spiegare, capire, allontanare i disagi dei pazienti.
Al contrario, è importante portarli a distogliere lo sguardo da ciò che credono di sapere, che si liberino del passato, delle cause che hanno identificato nel tentativo, vano, di “spiegare” se stessi.

Lo psicoterapeuta non deve tanto interessarsi alla storia del paziente, ma cercare l’immagine nascosta che lo caratterizza.
Quell’immagine rappresenta un’identità profonda e vive in un’altra dimensione, occulta, misteriosa e ha codici ben diversi da quelli della ragione…
Uno psicoterapeuta deve imparare a "vedere oltre" per guardare il mondo con altri occhi, non per ascoltare storie personali, e men che meno per cercare le cause psicologiche dei simtomi.

E quando visita un paziente, è opportuno che si ponga sempre questa domanda: “Quanto è lontano dal suo centro, dove l’ha portato il viaggio della vita?”. Se sta male, significa che si è allontanato troppo da sé stesso: il lavoro dello psicoterapeuta consiste nel farlo tornare a casa.
Come ricorda Hillman, “i disagi sono come dèi che irrompono nella nostra vita”. Accompagnare il paziente ad accoglierli, percepirli, constatarne la presenza e arrendersi è il vero lavoro della psicoterapeuta.